Canto, le tradizioni made in Italy

Se pensiamo al canto pensiamo alle grandi voci dell’opera come ad esempio Luciano Pavarotti o Maria Callas oppure in ambito moderno alle icone del momento come ad esempio Ariana Grande, Lady Gaga o grandi del passato come Aretha Franklin, Whitney Houston e tantissime altre.

Oggi vorrei portare alla luce melodie e voci particolari, diverse, tipologie di canto di cui purtroppo si sono perse le tracce o che arrivano alle nostre orecchie con più difficoltà.
Il canto popolare è di fatto il territorio da cui tutto è pertito e che in qualche modo ha portato a ciò che ascoltiamo oggi.

Canto Bovara

Questa tipologia di canto popolare tipico della Romagna si basa sull’uso delle scale modali e questo lo avvicina un po’ al canto gregoriano. Si utilizzava durante i lavori nei campi e un po’ come per i contadini americani, si articolava in botte e risposte in un dialogo che accompagnava la fatica e la stanchezza. Ne consegue un timbro sforzato e quasi urlato.

Simile nell’utilizzo della voce ma non nel fine ultimo, abbiamo la Stornella. Stessa zona geografica ma forma diversa, questo canto infatti si articola su quattro strofe di endecasillabi. Spesso questo canto veniva usato per vere e proprie “battaglie verbali” alle quali però si era certi non sarebbero seguite conseguenze. Il canto era territorio neutro nel quale si poteva offendere (inteso come attacco personale) senza essere offesi in una sorta di presa di coscienza del pensiero altrui.

Di questi canti popolari purtroppo si sono perse le tracce complice anche la venuta delle macchine che hanno sostituito l’uomo nel lavoro sui campi, solo pochi anziani residenti ne ricordano le strofe.

Canto alla “cilentana”

Canto tipico delle zone della Campania, Calabria, Basilicata. Si caratterizzata da un canto prolungato acuto e melismatico passando spesso sui quarti di tono che conferiscono le sonorità tipiche dei canti del sud Italia. Veniva usato per le serenate e si poteva accompagnare con la chitarra, l’organetto o la zampogna, più di frequente veniva usata la sola voce. Veniva usato anche dai carbonai e i tempi dei testi vertevano su amore, speranza, lontananza.

Trallallero

Questo canto polifonico (a più voci) era tipico delle zone genovesi ed è considerata l’evoluzione raffinata dei canti da osteria. Presentano ritornelli no sense con una certa cura della parte ritmica ed è riservato esclusivamente a voci maschili. Alla voce principale si affiancano tutte le altre che hanno il ruolo di svolgere parte ritmica, di accompagnamento e parti armoniche. L’utilizzo della voce a scopi polifonici e poliritmi è alla base di questa affascinante tradizione vocale che è al tempo stesso raffinata pur restando popolare.
I gruppi (che esistono ancora oggi) si chiamano “i trallalleri” o più semplicemente “squadre” e sono così composte:
– tenore, intona il canto principale, determina la tonalità solitamente sol# maggiore / minore.
– contralto, chiamato in genere “il secondo” o “bagascetta” o “puttanella” questo perchè la sua esecuzione è in falsetto (voce di testa per alcuni, più correttamente M2).
– baritono, ha il compito di tenere il ritmo
– a chitàra, come si può intuire “la chitarra” è una voce con funzione ritmica che ottiene un timbro particolare. Infatti il cantante esegue i suoni con il dorso della mano davanti alla bocca simulando le corde pizzicate.
– basso, vari cantanti della squadra assumono questo ruolo per conferire profondità all’esecuzione.

Altra particolarità, non è raro che voci appartenenti a squadre diverse si uniscano in cerchio durante un raduno / serata e diano vita a vere e proprie improvvisazioni che aggiungono nuovi colori alle performance dato che, a seconda delle zona, si possono avere accenti ed inflessioni diverse.

Questa e una delle squadre attive ancora oggi

Per oggi ci fermiamo qui ma chissà quante altre sorprese ci riserverà questo viaggio attraverso la voce.

Alla prossima, vostra T.

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