Si sente spesso dire che
“l’intelligenza emotiva è donna”, che le donne sono più portate a mettersi in
ascolto dell’altro, che abbiano un linguaggio emotivo più vasto e che in
generale siano più portate ad esprimere le emozioni. Una donna infine ha meno
censure ad esprimere alcune emozioni a valenza negativa (non tutte in realtà poiché
tende a reprimere la rabbia in accordo con una visione culturale socialmente
accettabile della donna, serena e calma). Si afferma tutto questo quasi si
trattassero di conformazioni geneticamente determinate e non più semplicemente
frutto della cultura di appartenenza e il risultato delle pratiche di
puericultura.
Ricordo l’esperimento (un esperimento affine a quelli svolti da Condry negli anni Settanta sui “Baby x” e gli stereotipi di genere) che vidi durante una lezione all’università: un lattante veniva vestito prima da maschio e poi da femmina, quindi si registravano le differenze nell’interazione degli adulti verso il piccolo. Si è notato che quando gli adulti erano convinti di avere di fronte una femminuccia tendevano a coccolarla e a parlarle teneramente, quando invece pensavano di avere tra le braccia un maschietto erano più attivi, lo facevano saltellare sulle ginocchia e gli parlavano meno e a voce più alta.
Non bisogna perciò stupirsi che le femmine crescano maggiormente avvezze alla comunicazione e all’introspezione ed i maschi siano più dinamici e meno inclini a soffermarsi sui propri stati interni magari parlandone.
Anche dal modo in cui i genitori ed in generale le figure di riferimento parlano ai bambini e rispondono alle loro manifestazioni emotive scaturiscono alcuni preconcetti di genere. Capita spesso di sentire una mamma dire al proprio figliolo “Non piangere, gli ometti non piangono”, come se un maschio solo in quanto tale non debba avere il diritto di manifestare tristezza e attraverso tale manifestazione chiedere aiuto e consolazione. Ancora una volta non dovrebbe quindi lasciare perplessi il fatto che già nella scuola primaria i bambini maschi tendano a convertire non solo tristezza ma anche frustrazione ed ansia in stati di collera, paradossalmente più accettata a livello culturale se manifestata dal sesso forte.
Alcuni studi condotti presso l’Università di Cambridge, in Inghilterra, dal professor Baron-Cohen hanno evidenziato una differenza nei processi di pensiero tra uomini e donne (la donna ragionerebbe considerando più aspetti contemporaneamente e gli uomini invece rifletterebbero a “blocchi” di pensiero classificando le informazioni) e che nelle donne vi sia una capacità empatica più sviluppata per via del suo tradizionale compito di vegliare la prole e dover quindi saper leggere i suoi stati interni e le sue necessità.
Dobbiamo però ricordare che le nostre emozioni non sono solo frutto del nostro cervello e della biologia ma che a parità di importanza vi sono le influenze che l’ambiente ha su di noi.
Infatti gli studi condotti dallo psicologo John Gottman hanno permesso di concludere che, nonostante vi siano delle differenze nel modo di esprimere le emozioni, gli uomini e le donne le provano in un modo molto simile. Malgrado esistano delle piccole differenze cerebrali fra uomini e donne, le massime diseguaglianze si presentano nel modo in cui si esprimono le emozioni e non tanto in come si provano.
Va ricordato che sebbene esistano delle differenze statistiche osservabili tra i due gruppi, uomini e donne in merito agli aspetti emotivi e affettivi, le differenze maggiori si ritrovano all’interno dello stesso gruppo, fra le stesse donne o gli stessi uomini.
Ritengo che tutto ciò sottolinei come le differenze di genere nel campo delle emozioni siano prettamente un prodotto culturale e, in quanto tale, si possa lavorare su di esso attraverso i programmi di alfabetizzazione emotiva.
Interessanti
sarebbero in tal senso anche parental training mirati, al fine di
sensibilizzare i genitori e scongiurare almeno in parte il fatto che si
passino, magari anche non intenzionalmente, messaggi disfunzionali ai bambini.
Credo che in una società che punta all’eguaglianza di genere e alle pari opportunità una riflessione di questo tipo sia d’obbligo. Un individuo è una complessa rete di elementi e sistemi e non si può prescindere dal considerare gli aspetti emotivi nel dispiegamento delle sue potenzialità semplicemente in base al suo sesso. In ambito lavorativo così come nella vita di coppia dovrà necessariamente essere in grado di accedere alle proprie emozioni ed esprimerle liberamente per poter intrecciare relazioni equilibrate e durature e ciò indipendentemente dal fatto che sia uomo o donna.
Spero che abbiate trovato questo articolo interessante. Come sempre vi invito a scrivere nei commenti eventuali domande oppure richieste di approfondimento.
Un grande abbraccio,
Barbara.