Diversi studi (Ammaniti 2010, Caretti, Craparo, Schimmenti 2010, Chatoor 2000, Cicchetti, Rogosh, Toth 1988, Stein 2001) hanno evidenziato la relazione che vi è tra disfunzioni emotive e disturbi alimentari. Sin dalla nascita il nutrimento costituisce da un lato la soddisfazione di un bisogno, dall’altro un momento peculiare per l’interiorizzazione dell’esperienza intersoggettiva. Lo scambio relazionale con la madre durante l’allattamento si caratterizza per la qualità dei processi di rispecchiamento, mutualità e contenimento che l’attraversano. L’alimentazione assolve una funzione fondamentale per lo sviluppo dei processi di pensiero e per lo sviluppo del mondo interno.
Attraverso la relazione passa il cibo e attraverso il cibo passa la relazione: la capacità del genitore di mantenere un atteggiamento responsivo durante il nutrimento favorisce quindi il benessere fisico e la salute psicologica del piccolo.
Ne consegue anche che, laddove il genitore si riveli scarsamente disponibile sul piano emotivo, l’alimentazione possa perdere la sua funzione di nutrimento psicologico e divenire un “cibo tossico”, ovvero un introietto carico di valenze relazionali negative.
I disturbi alimentari nell’infanzia secondo Winnicott rappresenterebbero un’espressione sintomatica della sofferenza emotiva esperita dal bambino per l’assenza di stati di sincronia e armonica reciprocità con la propria figura d’attaccamento.
Si è quindi ipotizzato che anche in adolescenza e nell’età adulta i disturbi alimentari siano uno dei possibili esiti di un deficit nei sistemi di autoregolazione e regolazione interattiva degli stati affettivi. Un deficit che probabilmente deriva da relazioni disfunzionali con figure di accudimento che non sono state in grado di favorire lo sviluppo di meccanismi d’integrazione degli stati affettivi. I disturbi alimentari sarebbero quindi dei disturbi della regolazione affettiva.
La regolazione emotiva nei disturbi del comportamento alimentare è infatti diversa rispetto a quella delle persone che non hanno delle patologie psicologiche. È stato riscontrato che presentano una maggiore alessitimia. Vale a dire che i ragazzi affetti da questo tipo di disturbi hanno più difficoltà a identificare e descrivere i sentimenti. Naturalmente, quando una persona non sa riconoscere le emozioni che percepisce, ha anche più difficoltà a scegliere la migliore strategia che le permetta di regolarizzarle.
Ciò varrebbe sia per l’anoressia che per la bulimia, sia l’astensione dal cibo che la fame nervosa scaturirebbero dal tentativo di regolare emozioni dolorose che non si riesce ad elaborare diversamente, quasi si trattassero di regolatori esterni in assenza di risorse interne per fronteggiare stati emotivi e mentali intollerabili.
Va inoltre ricordato che delle relazioni disfunzionali con il caregiver, episodi di violenza e trascuratezza possono seriamente intaccare il processo di strutturazione del sé e intaccare gravemente l’autostima, e ciò può portare ad una rappresentazione falsata del proprio corpo.
È stato infine dimostrato che lavorare sulla regolazione emotiva nei disturbi del comportamento alimentare migliora notevolmente la prognosi. Detto ciò emerge anche come l’alfabetizzazione emotiva e dei percorsi atti a sviluppare la competenza emotiva anche a scuola, possano fungere da elementi di prevenzione in merito all’insorgere di tali disturbi o nel rintracciare delle difficoltà emotive prima che sfocino in veri e propri disturbi.
Potenziare negli adolescenti la capacità di cogliere e comprendere le molteplici sfumature dell’universo emotivo, permette di riflesso di aiutarli a gestire meglio gli eventi stressanti, ad avere più tolleranza emotiva, ad essere più consapevoli del proprio mondo interiore e quindi ad avere maggiore capacità adattiva all’ambiente circostante.
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Se vi va fatemi sapere anche cosa ne pensate riguardo questa ipotesi riguardo una delle possibili cause dei disturbi alimentari.
Nel frattempo vi saluto e vi mando un grande abbraccio,
Barbara.